Don Luigi non era un uomo politico, era un uomo aperto ai problemi che toccavano l’uomo.

Nel 1893 don Talamoni, nella certezza di fare del bene, accettò di partecipare alla vita civica della città.

Non fa meraviglia che in tempi nuovi, sconcertanti per i rivolgimenti sociali che avvenivano, i cattolici monzesi scegliessero Talamoni come loro rappresentante alle elezioni amministrative: essi avevano bisogno di una guida.

Eletto consigliere, lo fu per quasi trent’anni: dal 1893 al 1916 ed ancora nel 1923 egli partecipò al consiglio comunale di Monza perché la popolazione lo stimava e lo amava; anche gli avversari riconoscevano la sua superiorità morale.

Prestò la sua attività con animo sacerdotale, per fare del bene: per lui anche questo era cura d’anime.

Anche gli “avversari” ebbero per lui una grande considerazione. Scrisse di lui Ettore Reina, spina dorsale del socialismo monzese: “Una di quelle figure che, pur nel parteggiare delle fazioni, pur nel contrasto profondo delle idee, sanno elevarsi, specialmente nei momenti difficili, con un grido, con una parola, con un atto di umana bontà dell’animo, al di sopra della mischia; una di quelle figure che, per l’austerità della vita, per la bontà dell’animo, per l’onestà e il disinteresse, spiccano alte e si impongono al di sopra dei partiti”. (Recalcati: op. cit.).

La sua presenza in consiglio comunale era quasi una continuazione di quell’opera silenziosa e discreta che svolgeva in confessionale, in seminario, nelle case, ovunque esercitasse il suo mandato di sacerdote.